13 marzo 2011

Gatto-Zeppetella-Mannutza: il Jazz Trio al Big Mama

Esplosione ritmica, improvvisazione allo stato puro, estasi, catarsi, bizzarria.. il trio Gatto-Zeppetella-Mannutza fa centro.

12 marzo 2011, Big Mama, Roma.

Il magico trio sale sul palco, ed è subito jazz, puro, lirico, strabiliante. Di fronte ad un pubblico che via via si fa sempre più numeroso, Roberto Gatto (batteria), Fabio Zeppetella (chitarra) e Luca Mannutza (organo) sfoderano una performance di quasi due ore da brividi, attraversando varie culture del jazz e conferendo al tempo stesso il loro personale tocco di classe. Considerati fra i maggiori esponenti del panorama jazz italiano, i tre maestri vantano un portfolio di collaborazioni di livello internazionale.

L’alchimia fra i tre è rara ed unica nel suo genere; nessuna sbavatura, nessun fraintendimento: ogni musicista si immerge nel proprio strumento tirandone fuori il meglio. Si parte dal tema principale passando per il cuore dell’improvvisazione, fino ad arrivare agli scambi perfettamente sincronizzati e ai pirotecnici soli. Ed infine, l’ultima bacchettata o l’ultima nota che proprio non ti aspetti...

Roberto Gatto conferma la sua incredibile “arte percussiva”, talvolta pennellando sui tamburi, talvolta sfoderando un drumming possente e funky; ma è durante gli assoli che sfodera tutta la sua imprevedibilità: sfiora i piatti, picchia con le bacchette sull’enorme cuore rosso del Big Mama dipinto sulla parete alle sue spalle… tutto questo divertendosi, sorridendo e giocando come farebbe un bambino alle prese con la sua prima batteria. La precisione con la quale non manca un colpo è pari solo alla prontezza degli applausi che esplodono alla fine delle sue prodezze.

Fabio Zeppetella dirige la sua Gibson Es 335 come un vero e proprio direttore d’orchestra. Non mancano sia i fraseggi lirici, sia le piroette in puro stile jazz vanguard, nelle quali mette in mostra il suo personalissimo stile chitarristico, frutto di una solida preparazione da autodidatta che gli è valsa la collaborazione con artisti internazionali e un’ormai piena affermazione in ambito jazzistico.

Luca Mannutza riesce ad incantare la platea con la sua “doppia personalità”; il suo Hammond B3 diviene l’estensione di ciò che riesce a scatenare nella sua mente, dominando le note in due direzioni diverse che però si intrecciano di continuo: con la mano sinistra scandisce la ritmica del basso, mentre con la destra improvvisa fraseggi che spaziano dal soul al jazz vanguard, senza mai “mollare la presa” perfino quando si lancia nel walkin’ bass!

Attorno alla leadership di Gatto, il trio spiazza di continuo gli spettatori con alti e bassi di grande intensità musicale, trascinandoli attraverso il repertorio che segue un percorso variegato e sempre piacevole, includendo sia alcuni standard immortali, sia composizioni meno note ma con arrangiamenti di grande effetto.

Lo show si apre con “Tea for two”, famoso standard jazz tratto dal musical del 1925 “No, no, Nanette”, eseguito con un arrangiamento in 5/4 di Luca Mannutza.
Segue “Solar”, una delle tante perle di Miles Davis, eseguita in pieno stile vanguard, che lascia letteralmente a bocca aperta.
Si smorzano i toni con la toccante “This guy's love with you” di Burt Bacharach, che esplode verso la fine per lasciare spazio all’hard bop di “Moment’s notice”, una delle composizioni più originali di John Coltrane.

Il trio stupisce ancora con lo splendido arrangiamento di uno dei grandi successi di Stevie Wonder, “My cherie amour”; si arriva al virtuosismo d’eccezione con la splendida “Road song” di Wes Montgomery, durante la quale il trio si getta a capofitto nella fusion raggiungendo il vero apice della serata. Ed infine il bis con “Line for Lyons”, capolavoro di uno dei padri fondatori del cool jazz, Gerry Mulligan, nonché uno dei brani meglio interpretati dal grande Chet Baker.



recensione e foto di
ANTONINO BONOMO



1 marzo 2011

Beady eye - Different Gear, Still Spending - Recensione

Un antidoto ad una giornata grigia? Magari stressante o malinconica? La prima risposta sonora che mi viene in mente è il primo disco dei Beady Eye: Different Gear, Still Speeding. Un album ben fatto, fresco, divertente, dal deciso sapore dei sixties.
Il fratello minore dei Gallagher con (la solita) sfrontatezza riesce a raggiungere l'obiettivo di un grande disco con la sua nuova band. Diciamolo, a molti sarebbe piaciuto poter dire: "Liam senza il fratellone non convince!" oppure: "Rivogliamo gli Oasis!". A dir la verità non vi sono momenti di questo disco che possano far storcere il naso agli appassionati del BritPop. Anzi sono davvero convincenti gli arrangiamenti: scarni, spogli al punto giusto, ottimi per mettere in risalto le chitarre e la voce di Liam. Gli altri, Gem Archer, Andy Bell, e Chris Sharrock (tutti ex Oasis) se la cavano piuttosto bene, liberi di esprimersi e di mettersi in mostra.

Canzoni grintose, emozionanti per molti versi, e tanto, tanto revival. Chi di solito mastica del buon rock ci ritroverà ovviamente gli echi di Lennon ma anche dei Who e tanti riff vecchia maniera. I brani più esaltanti? Four Letter Word (potente pezzo d'apertura); The Roller (beatlesiana fino all'osso); Wind up Dream (per i rocker d'annata).


Un disco che convince davvero, anche se è stata tagliata fuori dalla tracklist il lato B del singolo di Bring The Light e cioè l'ipnotica Sons of the Stage, una cover del gruppo indie World Of Twist. La sfida è dunque aperta: Noel se ci sei batti un colpo!


di Francesco Giacalone


Il brano Sons of the Stage