30 luglio 2011

Slash - Recensione del concerto del 29 luglio a Roma

Operazione-nostalgia parzialmente riuscita. Circa 12.000 fan dell'hard rock si sono ritrovati a Roma il 29 luglio per l'appuntamento con Slash, icona riccioluta dei Guns 'n' Roses, e proprio come da tre decenni a questa parte lo storico chitarrista non si è risparmiato per far assaporare quella nostalgia del breve periodo a cavallo tra gli anni '80 e '90. Anni leggendari per il rock duro e (im)puro che veniva da Los Angeles, anni in cui la voglia di conquistare il mondo della musica da parte di squattrinati come Axl Rose era vera, genuina. Ebbene, pur mantenendo intatto il proprio stile, Slash e la sua musica dimostrano quanto sia lontano quel periodo: nei primi live dei Guns si respirava aria di tensione e trasgressione e non la rassicurante quiete che ha portato al concertone al velodromo delle Capannelle, papà e figli in tenuta da rocker, signore di mezza età e ragazzini impazziti che dopo aver visto Slash urlano"Dio esiste!".


Molto è cambiato rispetto a venticinque anni fa: le note di Nightrain allora facevano davvero emozionare e magari venivano portate nella mente e nel cuore negli anni a venire; oggi i giovanotti sfoggiano oltre alle borchie anche l'ultimo modello dell'I-phone per inviare il video praticamente in diretta su facebook! E non solo, i brani dei Guns, suonati da una band diversa risentono parecchio della patina del tempo.


Mr. Brownstone, cantata comununque da un Myles Kennedy in splendida forma, non convince. Stesse sensazioni per Rocket Queen e gli altri classici dei Guns. A tener viva la fiamma e il ricordo dei bei tempi andati sono le vere gemme del repertorio: Sweet Child o' mine e Paradise City. Due brani così trascinanti non potevano che infiammare il pubblico e così è stato.


Il resto è un bel connubbio fra sua maestà Slash e gli altri, Bobby Schneck, Todd Kerns, Brent Fitz e ovviamente Myles Kennedy, gia cantante degli Alter Bridge. Una buona band e molta voglia di far vivere una bella serata di sano rock and roll.


Slash dal canto suo ha un buon feeling con la gente, scherza, salta e si e-salta soprattutto per i nuovi brani del suo album solista. E' sempre lui che corre per ritrovare l'assolo perfetto, è lui a portare sempre più in alto il pathos e strappare qualche emozione, al di là della nostalgia.


Passando in rassegna anche i brani degli Snakepit, e dei Velvet Revolver, Myles Kennedy fa sentire che con quella voce può far proprio di tutto, seppur scimmiottando un pò troppo il timbro di Scott Weiland, riesce nell'intento di portare il pubblico dalla sua parte. Ma il proprio lavoro lo fa bene, onestamente, soprattutto quando deve semplicemente essere se stesso: Back from Cali è uno dei pezzi più incisivi della serata, che si chiude così come era cominciata, con le urla dei giovanissimi a sommergere e sovrastare i taglienti riff della Les Paul di Slash, e con le gomitate a destra e a manca al ritmo di Paradise City.


Anche Slash lo sà bene, oggi al proprio fianco ci sono dei bravi rocker, ma non si chiamano Duff, Izzy, Steven o Axl. Non sono quegli incendiari ed egocentrici individui che hanno segnato insieme a lui la storia del rock "pesante", ma solo degli ottimi gregari che magari come nei film sognavano un giorno di stare al fianco del guitar hero per eccellenza, di colui che ha scritto una delle pagine più importanti della musica degli ultimi vent'anni.

di Francesco Giacalone

20 luglio 2011

"Life" Keith Richards - Recensione

Una successo annunciato, una biografia dal titolo semplice semplice: "Life".  Dentro questo libro c'è tutto il rock n' roll style duro e puro. Solo uno come Keith Richards, chitarrista e compositore dei Rolling Stones, può permettersi di scrivere un'autobiografia dal titolo banale e infarcirla di aneddoti sulla vita, sulla musica, sulla droga, sulle donne e sul circo dello show bussiness.

Grande successo commerciale, grande "ritorno" di immagine e primi posti nelle classifiche dei libri più venduti di mezzo mondo. In "Life" c'è l'abc del rock, un'enciclopedia condita da vari "fuck", "little bitch" e "asshole" tanto per dare un pò di pepe qua e là.

C'è n'è per tutti: Mick Jagger e le sue manie da superstar, Bill Wyman sessualmente megalomane, Ronnie Wood troppo "fatto" e non ci sono parole tenere neanche per tizi del calibro di Chuck Berry e Jerry Lee Lewis. L'unico a salvarsi dalla velenosa linguaccia di Keith è Charlie Watts, il più schivo della band e in assoluto il "personaggio" più rispettato del libro. Anche la storica compagna Anita Pallenberg, da cui Keith ha avuto due figli, Marlon e Angela, non ne esce benissimo da questo racconto: dapprima dipinta come una regina del mondo dello spettacolo, trasgressiva, sexy e naif, viene poi fatta apparire come tossica e fuori di testa.



Una biografia, dunque, che scava affondo, fino a graffiare la vera storia dei Rolling Stones, una band nata con tantissima voglia ed energia, spinta soprattutto da Brian Jones (il chitarrista morto in circostanze misteriose nel 1969) e grande compagno di "studio" di Richards nei primissimi anni della band. Le atmosfere più accattivanti nel libro si colgono infatti nei primissimi capitoli in cui i protagonisti sono proprio Keith e Brian, intenti (nel loro lurido appartamento londinese) ad imitare i riff di chitarra e scoprire gli accordi dei grandi idoli del blues come John Lee Hooker, Slim Harpo e Muddy Waters. Chiusa la parte "pedagogica" del libro con una miniera di citazioni di grandi artisti blues e rock n' roll, si apre per il lettore una immensa, prolissa, sfiancante e a tratti noiosa "sezione" dedicata alle droghe. Pochissime in circolazione, dagli anni 70 agli anni 80, quelle che Richards ha deciso di non provare,  anzi vengono tutte sezionate con tanto di dosaggio, prezzo ed effetti sul fisico e sulla psiche. Probabilmente l'unica vera pecca del libro sta tutta in queste pagine, in cui la vita della band viene relegata come sfondo, mettendo in risalto le peripezie, i cattivi pensieri, le gelosie, gli scontri e la follia generata dalle sostanze. Non manca proprio nulla, compreso nomi e cognomi degli spacciatori di riferimento, le tecniche utilizzate per mixare gli stati d'animo "alterati" e le rocambolesche lotte per sfuggire alla giustizia, grazie a nomi di primo piano della politica che tanto hanno voluto bene Mr. Richards.

Gustosa la parentesi francese, in cui viene registrato dagli Stones l'album "Exile on Main Street", in compagnia del sassofonista e grande amico Bobby Keys, e tantissimi altri grandiosi musicisti che tanto hanno donato al sound del gruppo.


L'ultima parte (quella relativa agli ultimi vent'anni della band) non entusiasma e non esalta. In fondo la trasformazione in super star ha diviso un pò la band, e Keith a questo punto preferisce dare ampio spazio alle sue vicende coniugali e familiari. Da ricordare però, gli episodi in compagnia del figlio Marlon, spesso accanto al padre in tour: un ragazzino di 7 anni nella bolgia del rock, fra camere d'albergo, backstage e poliziotti anti-droga. Non da sottovalutare comunque la vena ironica che, per fortuna, ha accompagnato l'artista nel corso della carriera: da notare nelle ultime pagine, il ricordo dei fan italiani con la "palma di gomma gonfiabile" che lo hanno salutato a Milano nel 2006, dopo una caduta rovinosa dall'albero in vacanza  con la famiglia.   




Un libro per "ossessionati" più che per appassionati, che profuma di poesia solo nella prima parte, e che affonda via via (come la vita di Keith del resto) nei clichè del rock, ma in fondo raccontati da chi, in prima persona, questi clichè li ha creati.
Poco spazio viene dato, in proporzione, su un volume di 500 pagine, alla parte strettamente tecnica e musicale: strumenti, composizione, trucchi del mestiere.

I personaggi, inoltre, vengono descritti con troppa superficialità, come in una conversazione da bar, senza approfondire davvero il lato caratteriale e umano, come invece è stato fatto con estrema cura e raffinatezza nella bellissima biografia "Ronnie" in cui il compagno d'avventure Ron Wood sembra più lucido (si passi il termine) nel raccontare da vicino le vicende, gli uomini e le donne, le band, gli stili musicali che hanno illuminato il mondo della musica degli ultimi cinquant'anni.
Ma delle critiche, come si può ben constatare nel libro, il nostro eroe se ne "sbatte" ed è quindi bene finirla qui prima di beccarsi un caro, placido e fraterno: "Vaffanculo!"