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La musica di Ray Charles è stata una delle mie fonti di ispirazione quando iniziai a suonare la chitarra. Lui era un gigante della musica soul, ma era anche un musicista jazz. Per me rimarrà sempre il più alto esempio di onesta espressività musicale.”
[John Scofield]
Cosa succede quando in uno studio di registrazione si riuniscono musicisti e produttori di grande talento ed esperienza, supportati da uno dei più grandi chitarristi jazz di sempre come John Scofield, a sua volta guidato dall’ispirazione e dall’eredità musicale di una delle figure più importanti e innovatrici della musica del ‘900 come Ray Charles? La risposta è scolpita nei 13 entusiasmanti brani dell’album
That’s What I Say, il personalissimo tributo di John Scofield alla “sensazione cieca”.
Ray Charles Robinson ha lasciato un segno indelebile nell’evoluzione della musica
soul, passando attraverso il
rhythm & blues fino ad arrivare a “profanare” il
gospel (musica sacra che si è fatta carica di importanti contenuti soprattutto durante la prima metà del ‘900) per dar vita alla cosiddetta “musica del diavolo”, che ebbe già dei precedenti d’eccezione con il
delta blues, in particolare con un altro immortale artista “maladetto” come Robert Johnson.
Nella carriera del “genio” Ray non mancarono neanche le parentesi dedicate al
country, ma sarà proprio la componente
jazz ad essere quasi sempre presente durante l’evoluzione del suo sound, e ciò soprattutto grazie al suo altalenante stile pianistico e alla costante presenza dei fiati nelle sue formazioni.
Non esistono aggettivi o superlativi adatti per identificare il genio di John Scofield: ha attraversato diverse generazioni musicali e collaborato con tutti i più grandi artisti internazionali, traendo spunto per la creazione di quello che possiamo chiamare a tutti gli effetti il “Sound Scofield”.
Dopo aver frequentato la Berklee College of Music di Boston, inizia giovanissimo a suonare puro jazz verso la fine degli anni ’60, entrando nell’entourage di artisti monumentali quali Gary Burton, Gerry Mulligan e perfino del grande Chet Baker, anche se solo per qualche concerto.
Entrerà a far parte dei gruppi di Billy Cobham, di Charles Mingus e di Dennis Chambers per poi unirsi alla band del grande Miles Davis, con il quale collaborerà sia in studio sia in tour dal 1982 al 1985, esperienza di grandissima importanza soprattutto per la sua maturazione musicale che lo dirigerà sempre più verso l’improvvisazione e il
funky. Inizierà poi la sua carriera da solista, destreggiandosi abilmente nel
post-bop,
funk-jazz e
rhythm & blues. Nei suoi album non mancheranno le componenti del jazz tradizionale e dello
swing, facendo conoscere in tutto il mondo il suo personalissimo stile jazzistico caratterizzato da una leggera (ma trascinante) distorsione e da un continuo alternarsi fra note basse e acute durante le improvvisazioni.
Negli anni ’90 collaborerà con un altro gigante della chitarra jazz come Pat Metheny, con il quale inciderà uno straordinario album,
I Can See Your House From Here, che grazie anche al successivo tour consacrerà i due eccezionali chitarristi colonne portanti del jazz moderno. Altra incredibile esperienza musicale sarà la collaborazione con il trio Medeski, Martin & Wood, molto apprezzati da Scofield per il loro “swampy groove” caratterizzato da un ritmo funk-jazz rallentato e sincopato, in perfetta sintonia con il suo stile chitarristico.
Nel 2004 Ray Charles scompare. Pochi mesi dopo la sua morte uscirà nelle sale di tutto il mondo il film
Ray diretto da Taylor Hackford e interpretato dal bravissimo Jamie Foxx, al quale verrà conferito il premio Oscar come miglior attore protagonista per il ruolo di Ray Charles. Non mancheranno altri tributi in onore del grande pianista-cantante; tra questi, quello di John Scofield sarà uno dei più apprezzati. Come ha dichiarato lo stesso chitarrista attraverso il suo sito, l’atmosfera di grande tristezza che seguirà la morte di Charles lo spingerà ad accettare il progetto del tributo per omaggiare una delle sue figure più amate nel campo musicale.
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Devo ammettere che non sono sempre d’accordo con progetti di questi tipo. Alcuni funzionano davvero bene, altri purtroppo no. Ma non appena Ron Goldstein (presidente della Verve Records) mi ha suggerito di registrare un album-tributo a Ray Charles, ho colto l’occasione al volo.”
[John Scofield]
Scofield inoltre potrà finalmente realizzare una delle sue più grandi ambizioni, ovvero poter registrare con delle voci soul e immergersi a capofitto nel complicato arrangiamento dei brani di Charles. Per far questo, nel dicembre del 2004 si reca negli Avatar Studios di New York con musicisti di grandissimo talento, che gli consentiranno di realizzare superbamente il suo sogno.
Spicca su tutti il nome di Steve Jordan, batterista, compositore e produttore discografico dalle eccellenti capacità; sarà proprio lui a condividere la passione per la musica di Ray Charles con Scofield, producendo l’intero album.
Debuttando giovanissimo nella band di Stevie Wonder, Jordan raggiunse la fama internazionale quando si unì al John Mayer Trio, formazione che gli permise inoltre di entrare nelle grazie di Eric Clapton, che lo sceglierà come batterista per il suo tour mondiale del 2006-2007.
Per riprodurre il raffinato suono di Ray Charles, Scofield recluta Larry Goldings all’organo Hammond; pianista jazz di grande esperienza, Goldings ha più volte collaborato con Scofield nei suoi precedenti lavori solisti. Sarà proprio il pianista a fare il nome di Willie Weeks. Quest’ultimo vanta un lussuoso portfolio di collaborazioni: David Bowie, Gregg Allman, Robert Cray, Aretha Franklin, Billy Joel, Rod Stewart, The Rolling Stones, Eric Clapton, e così via. Soltanto le sue straordinarie capacità di bassista soul ed R&B possono eguagliare la sua esperienza.
Con questo quartetto “base”, Scofield passerà in rassegna alcuni dei classici più belli e di maggior successo di Ray Charles, aggiungendo l’inestimabile contributo di alcuni ospiti illustri: il leggendario pianista-cantante Malcolm John Rebennack, in arte Dr. John; il chitarrista
bottleneck Warren Haynes, che (a soli vent’anni) entrò a far parte della Allman Brothers Band agli inizi degli anni ’80; “l’anziana” cantante gospel Mavis Staples; la giovane scoperta della chitarra blues e rock che risponde al nome di John Mayer; il leggendario percussionista dei Weather Report, Manolo Badrena…
Ma il posto d’onore va senza dubbio al leggendario sassofonista David “Fathead” Newman: scomparso nel gennaio del 2009, per oltre trent’anni condivise il palco con Ray Charles, entrando a far parte della sua band nel lontano 1954.
Possiamo soltanto immaginare le incredibili emozioni che i brani “What’d I say”, “Hit the road Jack” e “I got a woman” scatenarono nella testa di Newman, durante le registrazioni a New York con John Scofield, suonando il sax e ripercorrendo allo stesso tempo gli indimenticabili momenti trascorsi con il suo leggendario band leader.
Bastano soltanto questi nomi a giustificare l’eccezionale carica emotiva che ogni brano dell’album riesce a trasmettere. Si passa dalle atmosfere quasi “orchestrali” delle splendide “What’d I say” e “I got a woman”, alle straordinarie esecuzioni funk-jazz di “Busted”, “Sticks and stones” e “Hit the road Jack”, dove John Scofield sfodera il meglio del suo repertorio, con armonie ed improvvisazioni da capogiro. Di grande intensità anche la splendida “I can’t stop loving you”, dove, attraverso la sua voce, l’incredibile Mavis Staples rievoca le splendide armonie country e soul tanto amate dal grande Ray Charles, il quale lasciò sbalorditi i suoi produttori discografici quando riuscì a conquistare nuovamente il grande pubblico anche con il suo nuovo sound supportato dall’orchestra.
Viene dato spazio perfino al ritmo tipico della ballad con l’ipnotica “You don’t know me”, dove Steve Jordan alle spazzole scandisce la ritmica mentre Scofield, Goldings e Weeks tessono il tappeto musicale sul quale si inserisce la splendida voce di Aaron Neville.
Da incorniciare l’accattivante “I don’t need no doctor”, dove assistiamo ad uno splendido “duello” chitarristico fra John Scofield (il maestro) e John Mayer (l’allievo); quest’ultimo mette in mostra le sue abilità di straordinario cantante e chitarrista, destreggiandosi sia all’elettrica che all’acustica.
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È una di quelle canzoni che imparai a suonare durante la scuola, uno di quegli standard suonato un po’ da tutti. Arrivai in studio con una bozza della struttura, per poi adattarla allo stile blues ed estenderla fino ad un groove diverso, più intenso. Appena iniziammo a registrare, sia io che John Mayer sapevamo già esattamente cosa fare e la registrammo in una sola take. Fu un momento davvero speciale.” [John Scofield]
Non potevano mancare le “finezze” soliste del leader, che lasciano l’acquolina in bocca non appena si passa al brano successivo. È il caso della breve e pensierosa “Cryin’ time”, una sorta di apertura per la successiva “I can’t stop loving you”. Semplice ma di grande effetto la versione di “Georgia on my mind” che chiude l’album, con il “mago” Scofield abilissimo con la chitarra acustica nel renderla sotto forma di ballad classica. Curiosa e bizzarra l’aggiunzione della traccia “nascosta”, legata a “Georgia”, dove si può ammirare il quartetto Scofield, Goldings, Jordan, Weeks improvvisare su uno dei temi ricorrenti nell’album.
Una volta terminata la fase degli arrangiamenti, la facilità con cui vennero effettuate le registrazioni fu sorprendente, come ha dichiarato lo stesso Scofield. “L’ottimo risultato è stato conseguito grazie anche alla grande affinità fra i musicisti che si alternarono in studio; l’atmosfera quasi magica di Manhattan durante la settimana prima di Natale ha fatto il resto.”
L’album verrà pubblicato nel giugno del 2005, in occasione del primo anniversario della morte di Ray Charles, e risulterà essere uno dei migliori lavori di John Scofield, come prodotto commerciale, ma soprattutto musicale: un ulteriore dimostrazione della continua voglia da parte del chitarrista di sperimentare e di guardare oltre, cercando sempre nuove strade attraverso le quali riuscire sempre a cogliere e a soddisfare la dedizione degli appassionati dell’ottima musica, e non solo del jazz.
Per i cultori della musica di Ray Charles, esperti e principianti, un gran bel disco da riascoltare ogni qual volta si voglia far finta che il grande Ray sia ancora in giro per il mondo seduto al piano, cantando, ridendo e "dondolando".
di ANTONINO BONOMO
Tracklist
John Scofield
THAT'S WHAT I SAY
(Verve Records, giugno 2005)
- Busted (Harlan Howard)
- What'd I Say (Ray Charles)
- Sticks and Stones (Henry Glover, Titus Turner)
- I Don't Need No Doctor (Nickolas Ashford, Valerie Simpson)
- Cryin' Time (Buck Owens)
- I Can't Stop Loving You (Don Gibson)
- Hit the Road Jack (Percy Mayfield)
- Talkin' Bout You/I Got a Woman (Ray Charles/Ray Charles, Renald Richard)
- Unchain My Heart-part 1 (Teddy Powell, Robert Sharp Jr.)
- Let's Go Get Stoned (Josephine Armstead, Nickolas Ashford, Valerie Simpson)
- Night Time is the Right Time (Lew Herman)
- You Don't Know Me (Eddie Arnold, Cindy Walker)
- Georgia On My Mind (Hoagy Carmichael, Stuart Gorrell)
Line-up:
John Scofield - electric & acoustic guitars
Larry Goldings - piano, Hammond B3 organ, Wurlitzer, vibes
Willie Weeks - bass, Ampeg baby bass
Steve Jordan - drums, cocktail drums, tambourine, background vocals
with special guests:
Dr. John - vocals, piano (track 2, 8)
Aaron Neville - vocals (track 2, 12)
Lisa Fischer - vocals (track 2, 6, 11)
Mavis Staples - vocals (track 2, 6)
Vaneese Thomas - background vocals (track 2, 6, 11)
Meegan Voss - background vocals (track 2)
Manolo Badrena - percussion, timbales, tambourine (track 2, 8)
Warren Haynes - vocals, bottleneck guitar (track 2, 11)
John Mayer - vocals, electric & acoustic guitar (track 2, 4)
David "Fathead" Newman - tenor saxophone (track 2, 7, 8)
Alex Foster - tenor saxophone (track 2, 7, 8, 10)
Earl Gardner - trumpet (track 2, 7, 8, 10)
Howard Johnson - baritone saxophone (track 2, 7, 8, 10, 11)
Keith O'Quinn - trombone (track 2, 7, 8, 10)