10 luglio 2009

A San Siro il rock a 360°


Sono tornati. In forma e più "mastodontici" che mai. Martedì 7 e mercoledì 8 luglio su un palco a forma di ragno metallico chiamato "The Craw" (l' artiglio) gli U2 hanno frantumato tutti i record di capienza di San Siro. Nessuno, nemmeno Vasco Rossi, era mai riuscito a portare settantasettemila persone al Meazza. Dopo quattro anni di assenza il gruppo irlandese è tornato in Italia con due date e un nuovo esperimento: il 360° Tour, un concerto visibile da qualsiasi angolazione dello stadio grazie a un palco aperto che, poco dopo le 21, è esploso in un' onda di luce che si è rovesciata sul pubblico, nello stesso istante in cui la batteria di Larry Mullen introduceva Breathe. «Grazie Milano, grazie Italia - ha detto Bono dopo un poker di pezzi tratto dall' ultimo No line on the horizon - sappiamo che sono tempi duri, la gente è senza lavoro. Non possiamo risolvere nulla ma possiamo darvi la più bella notte della vostra vita. Carpe diem». Poi parte Beautiful day e gli U2, nonostante gli anni assieme (33), ancora una volta, sono in forma eccellente, con un debordante Bono, l' unica rockstar in grado di essere credibile sia quando cita il Magnificat dal Vangelo di Luca (su Magnificent ), che quando conduce le danze nel remix di I' ll go crazy o si lascia andare a una battuta: «Vi piace il nostro palco? È un incrocio tra una nave spaziale e un cactus». La scaletta è sbilanciata sugli ultimi tre dischi (12 pezzi su 22), ma ci sono perle del passato come I still haven' t found what I' m looking for (unita a Stand by me di Ben E. King) The unforgettable fire, Ultraviolet e (addirittura) Party Girl, del 1982 e Bono la canta con accanto la figlia Memphis Eve, che compiva 18 anni. Ancora una volta però, al di là del repertorio e della potenza sonora (un' onda d' urto), la forza degli U2 è sembrata la loro capacità di unire musica, politica e cultura: annunciate da un fascio di luce verde, le parole di Sunday bloody sunday, scritte da Bono nel 1983 per i caduti di Derry, si sono trasformate in un inno per Neda e i ragazzi di Teheran, mentre Walk on è volata in cielo verso l' attivista birmana Aung San Suu Kyi. Ma ci sono stati anche l' omaggio a Michael Jackson con Angel of Harlem (unita a Man in the mirror) e un lungo medley per Martin Luther King in cui Bono ha unito Pride a MLK. Alla fine è arrivato sugli schermi anche l' arcivescovo sudafricano Desmond Tutu a parlare di Africa e malaria, un istante prima che Edge facesse decollare Where the streets have no name oltre gli agognati 80 decibel. Chiusura su With or without you e Moment of surrender con una certezza: in ambito rock nessuno oggi riesce a mettere in scena uno spettacolo di tale imponenza e intelligenza.

di Francesco Giacalone



9 luglio 2009

Shock Rock: Alice Cooper

Alice Cooper è uno tra i personaggi più controversi e discussi nella storia del rock. I suoi concerti sono macabri e cruenti ma, allo stesso tempo, molto spettacolari. Le sue performance live sono famose per le ghigliottine sul palco, bambole impalate, per il pitone (vero) attorcigliato al collo e per il trucco facciale dalle sembianze "macabre". Egli è infatti considerato tra i più importanti esponenti dello shock rock un termine che comprende appunto esibizioni di questo genere.

I suoi testi contengono spesso elementi ispirati dalla narrativa horror; tuttavia, nell'ampia produzione dell'artista si trovano brani sugli argomenti più diversi, inclusi temi di ampio respiro come la libertà di espressione, la religione e i problemi legati alla società statunitense.

È tuttora in piena attività e vanta una carriera quasi quarantennale. La sua musica e la sua presenza scenica hanno avuto un notevole influsso su vari artisti come Rob Zombie, Wasp, Marilyn Manson.

Il genere espresso da Alice Cooper è di difficile catalogazione nel senso che ha spaziato molti stili di rock diversi fra loro nel corso degli anni, ed ha avuto quindi numerose sfaccettature. Il primo periodo della sua carriera presentava un rock contaminato da generi come folk, rock e blues, mentre negli anni settanta e ottanta il suo stile divenne più ruvido con sonorità dure ma sempre conservando aspetti melodici.

Nei primi anni '80, Alice si spinse verso l'hair metal, grazie al successo del genere in questione soprattutto con Motley Crue, Cinderella e Bon Jovi.

Negli anni novanta Alice Cooper ha percorso altri sentieri musicali alla ricerca di un sound più "industrial" e alternative ma negli ultimi lavori nel nuovo millennio sembra ritornare all'hard rock delle origini.

di Francesco Giacalone


8 luglio 2009

Reunion: Intervista a Massimo Scialò

Per comprendere con maggiore chiarezza l'attualissimo fenomeno delle reunion dei grandi gruppi del passato e scoprire gli aspetti economici che muovono il settore degli eventi “dal vivo”, abbiamo intervistato Massimo Scialò, amministratore delegato della società francese Scl Initiatives France che si occupa di comunicazione, produzione audiovideo e realizzazione di concerti ed eventi. Nel 2003, grazie ad anni. di esperienza, ha pubblicato il testo "I segreti del Rock", nel quale vengono analizzati i diversi elementi che fanno capo alle grandi produzioni musicali: le major, i concerti, l’immagine degli artisti, il marketing e la pubblicità. Rispondendo ad
alcune domande riguardanti il mercato discografico, la rivalutazione delle icone rock del passato e gli investimenti sui tour, Scialò ci ha rivelato nuovi particolari ed offerto alcune considerazioni personali.

All’interno del testo I segreti del rock si parla di una situazione di stallo, riguardo la capacità di attrazione da parte delle rockstar. Oggi con le reunion di band molto influenti del panorama del rock, questa situazione non le sembra essere mutata?

Non è proprio così; in realtà questi personaggi, queste rockstar, rappresentavano in passato un way of life, nel senso che eranoun punto di riferimento che andava ben oltre l’evento, il concerto e persino ben oltre i brani che suonavano; erano degli opinion leader, seppur talvolta un po’ criptici. In occasione delle reunion, questo elemento non riviene fuori, nel senso che nessuno considera una reunion di una band importante come una occasione per rinverdire i fasti di un “atteggiamento” legato agli anni sessanta o settanta, ma esclusivamente come una occasione di entertainment. Rileviamo per questi eventi un tipo di pubblico che passa da vedere “Mamma mia”, il musical con i pezzi degli Abba, alla reunion di band come i Genesis, con lo stesso spirito, legato a nessun particolare rapporto con la star se non con un interesse per il brand che la star stessa rappresenta. Se i tre membri dei Police avessero optato, nel loro ultimo tour, per un altro nome da dare alla band, avrebbero avuto dei risultati infinitamente minori; questi personaggi non rappresentano niente di più che la cover band di se stessi. Quello che conta è il brand. Le discussioni su chi detiene il nome o il marchio hanno diviso tantissimi gruppi e queste problematiche sono sorte perché gli stessi artisti si rendono conto di tale realtà. E’ vero che c’è un grande successo dei reunion-tour, ma è vero che questo non rappresenta la rigenerazione dell’essenza della rockstar come punto di riferimento. Ad esempio nel 1968 un musicista a secondo di quello che diceva, come si vestiva, quali erano le sue dichiarazioni sul Vietnam o su altre questioni politiche e sociali, finiva per incidere in maniera ampia, se non profonda,
sulla società. Oggi come oggi questa è un capacità assolutamente assente.

Nel testo, viene messa in evidenza la crisi del mercato legato al genere rock fra la fine degli anni settanta e l’inizio degli anni ottanta. I critici parlavano di appannamento artistico o di declino; Lei spiega invece che si trattava innanzitutto della volontà, da parte dei discografici, di promuovere figure nuove per lo star system. Oggi perché si sceglie di organizzare dei tour, puntando nuovamente sulle “vecchie” rockstar?

E’ importante sottolineare che fra gli anni settanta e gli anni ottanta, non sono stati affatto gli artisti a non avere più un appeal, c’è stato un cambiamento da parte degli utenti, cioè, in
questo periodo storico è cambiata la società, ed alcuni artisti che avevano intercettato talvolta inconsapevolmente le esigenze del pubblico, rappresentandole, continuavano a farlo ma senza intercettarne delle nuove: nel frattempo la gente era interessata ad altre tematiche. Possiamo dire che il rock è morto con Thriller di Michael Jackson. Un disco che ha venduto centoquattro milioni di copie, ma che si “indossava” come una maglietta qualsiasi, non avendo nessuna particolare essenza; non era The Dark side of the Moon dei Pink Floyd. Oggi le reunion valgono come i remake dei grandi film degli anni sessanta e settanta. E’ cinico affermarlo ma l’elemento
commerciale è assolutamente alla base di queste operazioni. Non si tratta di un’esigenza artistica, personale o di vita ma di una situazione pianificata a tavolino. Ricordiamoci che stiamo parlando di signori che hanno superato i cinquant’anni, i quali gestiscono questo bussines in maniera molto lucida, diventando dei manager. Ad esempio David Bowie, si è riappropriato delle vecchie edizioni dei suoi lavori, ha creato una società di gestione con esclusiva anche sui suoi album futuri, e l’ha quotata in borsa, promuovendo la società attraverso canali non “istituzionali” per la borsa. Bowie è riuscito a vendere circa il sessanta per cento delle quote, per un realtà che al tempo aveva un valore nominale intorno agli ottanta milioni di sterline e che nel giro di un anno ha venduto a quasi seicento milioni, con una operazione di finanza creativa e di investimento assolutamente geniale. E’ evidente che le sue priorità non sono più legate esclusivamente al lato artistico. Bowie ha comunque prodotto degli ottimi album anche dopo la creazione di questa società finanziaria, con una gestione più matura ma, sevogliamo, anche più cinica. Al di là di tutto ciò c’è comunque un elemento fondamentale: il costo dei biglietti dei concerti. Negli Stati Uniti, il costo dei ticket per assistere ad una esibizione di Avril Lavigne o dei Green Day è molto inferiore rispetto a quello dei Genesis o deiPolice. John Innamorato, uno dei responsabili dell’area East Coast di Live Nation, (società americana di organizzazione di eventi dal vivo) poco tempo fa mi ha “passato” delle informazioni interessanti sull’argomento. Se la Live Nation organizza un grande concerto di Avril Lavigne, è obbligata a definire un costo per i biglietti con un range che va dai venticinque ai quarantacinque dollari perché il pubblico è molto giovane o perché è accompagnato dai genitori che ovviamente non possono farsi carico di cifre ingenti. Per quanto riguarda i concerti di un band come i Police in una location di rilievo come il Madison Square Garden di New York i prezzi dei biglietti risultano molto elevati ma soprattutto sono disponibili anche alcuni posti nella tribuna d’onore con un costo di circa duemila e cinquecento dollari. Tutto questo è possibile perché nel frattempo il pubblico che segue queste band ha raggiunto una fascia d’età tale da avere una certa stabilità economica. Ho anche assistito a Washington ad un concerto della pop-star Cindy Lauper che contrariamente a ciò faceva negli anni ottanta, si esibisce in club da appena mille posti ma con il prezzo di un singolo biglietto che arriva a settanta dollari. In tal modo l’artista e gli organizzatori incassano molto di più rispetto ai momenti di maggiore successo e visibilità. Oggi al pubblico dei quarantenni è più difficile imporre un cantante nuovo poiché generalmente ascoltano poca musica e con meno attenzione che in passato, preferendo assistere ad una esibizione che tocca da vicino i loro gusti musicali. Oggi, in un certo senso, possiamo accostare il rock alla musica classica. C’è stata una stagione in cui gli artisti principali di questo genere si sono espressi ai massimi livelli, dopo, nel corso degli decenni si sono susseguiti dei
grandi interpreti che hanno portato avanti e reso ancor più celebri artisti come Mozart o Beehtoven. E’ normale assistere ad un concerto di musica classica diretto da Riccardo Muti poiché questo è l’unico modo in cui essa può essere “fruita”. Lo stesso ragionamento possiamo riferirlo all’epoca d’oro del rock e alle varie tribute band che oggi spopolano nei club di tutto il mondo. Inoltre, possiamo dire che le reunion non nascono per una rinnovata creatività artistica poiché il pubblico non vuol ascoltare il nuovo materiale ma solamente i grandi
successi del passato.

La sostanziale debolezza economica delle etichette discografiche porta gli sponsor a rivestire un ruolo principale nella organizzazione di un evento live. In base alla rock-band che si esibisce sul palco come cambiano le scelte di investimento?

Gli sponsor investono sulla base della visibilità che possono ottenere, dunque, sponsorizzare un concerto dei Rolling Stones ha comunque e in tutti i casi un valore maggiore rispetto ad un
evento di minore rilievo. C’è da dire, inoltre, che molti di questi gruppi sono effettivamente dei brand, con una collocazione specifica. Alcuni sono vendibili, altri fanno più fatica a causa del fatto che sono definiti in target. Se oggi ritornasse sulla scena Bob Marley, una certa serie di sponsor
non sarebbe disposta a sostenere l’evento poiché l’immagine generale non andrebbe nella direzione da loro auspicata in riferimento al prodotto. Ci deve essere necessariamente un
legame fra l’immagine dell’artista e quella del prodotto, una compatibilità di due brand. Un gruppo come i Rolling Stones ha da sempre incarnato l’esatto cross-over fra un certo livello di bohemien e un certo tipo di conservatorismo e per questo motivo sono perfetti per le sponsorizzazioni. Gli Stones sono la quint’essenza del brand cioè della musica concepita come un
elemento di mercato. Loro mettono in primo piano le esigenze di chi ha pagato il biglietto. Oggi, comunque, persino un gruppo come i Sex Pistols sarebbe sicuramente sponsorizzato da una compagnia telefonica. Alle aziende interessa poco, di per sé, il lato artistico, interessa molto di più l’esposizione. Un tour degli Stones o dei Police garantisce dei risultati importanti sia per l’elevato numero dei partecipanti che per la garanzia di visibilità sui maggiori media.


di Francesco Giacalone

The handsome family's new album


Honey Moon is the best Handosome Family's album. Two artists that sing about sins and redemption with obscure and gothic music. In this album they play with a different sound and in particular they are influenced by Tin Pan Alley and the music of fourties. In every track there are the sound of old country style but in a beautiful modern key.
di Francesco Giacalone






Beyonce live at Madison Square Garden


There were five months between last November’s release of Beyonce's last record, “I Am ... Sasha Fierce,” and the April beginning of her world tour, which made its first American stop at Madison Square Garden on Sunday. It’s reasonable to suppose that it took that long to prepare for it. It would be reasonable to suppose that it took twice that long to prepare for it. The whole point of the dazzling show was to make you ask how she does it. Not just physically, but organizationally. A long time from now, when this stretch of the history of pop is written, someone will have to pay close attention to Beyoncé’s laptop and smartphone files, as well as those of her managers and producers. From there we might find the trail of communication, the co-opting and planning and execution. The YouTube research, the conversations with choreographers and stunt coordinators and the fashion designer Thierry Mugler, the tour’s creative adviser. The cast’s 71 costumes. The aerial somersaults. The titanium robot glove. And the unwieldy mother concept of the tour: the duality of well-meaning good girl and rapacious animal-robot-dance-titan.

The two-hour show worked with conventions, and a few felt off-the-rack. A variation of the tall riser at the front of the stage was in Tina Turner’s show a few months back. Moving to a small stage in the middle of the arena is an old and effective rolling stones trick, but Beyoncé got there through the air, lifted out of a 20-foot train by a harness. (She high-stepped in slow motion and front-flipped along the way; there is a breathtaking elegance in her acute desire to entertain.) And some conventions were her own — the medley of Destiny’s Child songs, who emerged to deafening applause, rapping a verse from his “I Just Wanna Love U (Give It 2 Me),” in the middle of her “Crazy in Love.”

Beyoncé is the high priestess of upward mobility: there’s always something better for herself (“Irreplaceable”) and those she loves (“Upgrade U”). The good-girl songs of the new album and tour are staged attempts to temper all that ambition with humility and empathy. And she’s fine at it, as she is fine at everything, though sometimes the songs seem like public-service announcements when they aren’t banging tracks. “I don’t want to play the brokenhearted girl,” she sang in one of them. That was the evening’s most comical moment, in a concert involving a bustier made with motorcycle lights.

di Clarissa Falzone

I blues del mondo, intervista a Roberto Ciotti



Blues tradizionale, soul e ritmi latini. Tutto questo e molto altro rappresenta oggi la musica di uno dei più grandi bluesman del nostro Paese: Roberto Ciotti. La cornice del nostro incontro con il chitarrista romano è quella classica del Big Mama, “culla capitolina” della musica che resta invisibile al grande pubblico. Ed è proprio in questa culla che Ciotti ama esibirsi da anni, accogliendo da padrone di casa tutti gli amanti del blues. In una serata in chiave acustica ripercorre la sua intera carriera costruita fondendo un’immensa passione per i ritmi e gli stili d’oltreoceano con il calore del mediterraneo.

Fisherman, brano d’apertura contenuto nel suo primo LP, Supergasoline Blues, non nasconde l’amore del musicista romano per il blues originale e genuino che lo ha “folgorato” già dalla metà degli anni 60. Grazie soprattutto a quei suoni provenienti da un mondo così lontano e quanto mai misterioso, Ciotti ha intrapreso la propria strada ricchissima di incontri e carica di costanti esperienze al di fuori dei confini nazionali. “Bella Chica”, “My Soul” e “Sweet Paradise” scorrono roventi e sinuose in un continuum sonoro spezzato solo dalla voce confidenziale e a tratti un po’ oscura di Ciotti nel presentare i brani in scaletta.

Qual’è il musicista con cui ti sei trovato particolarmente a tuo agio in una jam o ad incidere in studio?

A me piace più che altro costruire un “gruppo” con cui lavorare a lungo, per avere l’affiatamento giusto che dà qualcosa in più alle canzoni

Ci sono dei momenti in cui ti è più facile scrivere i tuoi brani?

Sono le emozioni che ti portano a scrivere, io uso poche parole che dicono qualcosa, poi è la musica che la fa da padrona

Ti farebbe piacere ascoltare, entrando in un locale, una band o un musicista che reintrepreta un tuo brano?

Se lo fanno bene sicuramente si. Una volta a Roma c’era una cantante nera di nome Phillis Blandford che usava alcuni pezzi dei miei all’interno del suo show, era anche la mia corista e li faceva vivere a modo suo, era bello

C’è un luogo o una città in cui oggi il blues è vivo come 50 o 60 anni fa?

Il blues se è solo revival è come una scuola, quando genera qualcosa di creativo diventa importante. Oggi è un brutto periodo per la musica, c’è un appiattimento totale. Il blues comunque ha una comunità sua in ogni singola città del mondo: l’ho trovato a Porto Alegre, a Beirut, a Dubai, in Europa e in America…I musicisti bravi sono oscurati dallo strapotere dei media che vogliono manipolare tutto, ma il talento non finisce mai (spero). Se cambieranno i tempi la richiesta di un pubblico più attento uscirà fuori.

Qual’è l’album (a parte l’ultimo) che ti ha dato più soddisfazione e da cui hai ricevuto più gratificazione?

I miei dischi vanno a modo loro: girano “sottobanco”, li ho trovati dappertutto, senza promozione. Quello più conosciuto è No More Blue ma anche Behind The Door mi ha aperto delle nuove strade. A maggio uscirà un DVD live in edicola che consacra il lavoro di questa band. Ho pronto anche un nuovo cd inedito su cui ho lavorato molto e sta solo nei provini, ma ancora non so quando e con chi uscirà.

Oltre ai brani storici, Ciotti promette ad inizio serata che eseguirà anche qualche cover per la gioia (presumiamo) dei nostalgici dell’epoca d’oro del rock. Con una splendida tecnica esecutiva vengono rispolverati due brani storici come Moondance di Van Morrison ed in chiusura Hey Joe, superclassico di Jimi Hendrix in cui Ciotti dà il meglio di sé. Atmosfera, sensazioni forti ed un tocco di romanticismo. Con queste armi oggi il chitarrista romano vuol far breccia nel cuore del pubblico, avendo a sua disposizione “un’esperienza sonora” maggiore rispetto ad alcuni anni fa, e grazie alla conoscenza dei vari sound del mondo che hanno contribuito a “riposizionarlo” all’interno del panorama musicale italiano. Non solo un bluesman, un autore coraggioso o un grande chitarrista, Roberto Ciotti è divenuto oggi maestro di contaminazione. Dal canto nostro speriamo che le nuove uscite discografiche lo portino ad esprimersi sempre a livelli notevoli e non disdegniamo certamente un ritorno ad un blues più classico e radicale, anche perché di Roberto Ciotti in Italia c’è n’é soltanto uno.

di Francesco Giacalone

Ladri di Mescal live allo Zelig Pub

E' partito il tour estivo della rock band romana "Ladri di Mescal". Dopo le date nella capitale al Sgt. Pepper's e al Solea Pub, la band capitanata da Marcella Bellini sbarcherà ad agosto in Sicilia. Sono molti i concerti previsti nella lunga estate del 2009 ma ricordiamo in particolare la data del 16 luglio presso lo Zelig di Mazara del Vallo in cui la band dividerà il palco con i Mojo Workin', affermato gruppo blues siciliano, per una serata che gli amanti della buona musica non perderanno. In scaletta i brani storici dei Ladri di Mescal e le nuove canzoni scritte nel corso del 2008 e del 2009. Dopo la Sicilia il summer tour dei "Ladri" toccherà altre regioni d'Italia e inoltre parteciperanno alle semifinali del Tour Music Fest, importante kermesse sonora presieduta da Mogol.

PFM canta DE ANDRE' al Rock in Roma



Tanta emozione e mille ricordi per una lunga serata di grande musica all'ippodromo delle capannelle a Roma. Sul palco la PFM, storico gruppo prog italiano, impegnato ormai da anni nella "riproposizione" dei brani storici dell'amico e cantautore Fabrizio De Andrè. La band di Franz di Cioccio al festival Rock In Roma ripercorre dal vivo le canzoni che hanno fatto la storia della musica italiana attraverso una nuova veste decisamente più rock. Fabrizio De Andrè ha collaborato nel 1979 con la PFM alla realizzazione di un doppio disco live in cui donava maggiore forza alla base strumentale dei pezzi. E' ormai divenuta celebre fra gli appassionati di Faber (questo il nome con cui De Andrè era chiamato dagli amici) l'intervista in cui inizialmente chiariva le difficoltà di affrontare una esibizione con una band come la PFM: "L'idea di un tour con un gruppo rock sulle prime mi spaventò, ma il rischio ha sempre il suo fascino, forse in una vita precedente ero un pirata e così una parte di me mi diceva di accettare. In più ero tormentato da interrogativi sul mio ruolo, sul mio lavoro, sull'assenza di nuove motivazioni. E la PFM mi risolse il problema, dandomi una formidabile spinta verso il futuro. La tournée con loro è stata un'esperienza irripetibile perché si trattava di un gruppo affiatato con una storia importante, che ha modificato il corso della musica italiana. Ecco un giorno hanno preso tutto questo e l'hanno messo al mio servizio".

di Francesco Giacalone

L'addio a Michael Jackson


Si è svolta ieri a Los Angeles la cerimonia d'addio al re del pop Michael Jackson. L 'aspetto più toccante della cerimonia è stato senza dubbio l'accenno alle qualità umane di Michael Jackson. La figlia che ha pianto come si piange per un bravo papà che non c'è più, le parole di Brooke Shields che ha descritto il giovane Michael come un tenero amico, uno che amava ridere, scherzare, che risolveva con un sorriso ogni questione, che entrava con lei di nascosto nella stanza di Liz Taylor per scoprire com'era il suo vestito di nozze. Questi racconti hanno restituito una umanità che il mito aveva reso invisibile, misteriosa. Jackson l'alieno, l'extraterrestre dalla irreale consistenza, l'icona che si era disegnato come sognava di essere, bianco, e con un viso che ricordava le sue adorate Diana Ross e Liz Taylor. Più debole l'omaggio musicale, con l'eccezione di uno straziante e delicato Stevie Wonder che ha usato una sua vecchissima e struggente canzone, I never dreamed you'd leave on summer, che sembrava cucita apposta per la tragica occasione, un addio in piena estate, un addio che nessuno si sarebbe mai immaginato di dover celebrare, a pochi giorni da un trionfale ritorno alle scene, programmato per il 13 luglio alla 02 Arena di Londra, dopo anni di buio, di incertezze, di indegni sospetti.

di Francesco Giacalone