7 marzo 2012

Iron Man - La biografia di Tony Iommi - Recensione

"Un uomo e Birmingham", questo potrebbe essere il titolo alternativo dell'autobiografia del chitarrista e fondatore dei Black Sabbath, Tony Iommi. Un ragazzo nato e cresciuto in una fredda città inglese, plurietnica e multiculturale, in quegli anni cinquanta in cui si affermava il blues e il rock n' roll anche in Europa. 
Iommi vive in quartiere periferico e resterà attaccato per sempre a quello strano luogo, abitato da chiassosi e chiacchieroni immigrati italiani, e alla sua famiglia che sembra uscire da un film di Scorsese: la mamma sicilianissima, nata a Palermo, incarna perfettamente il modello di madre possessiva e soffocante in classico stile "meridionale",  il padre e i nonni, anche loro italiani, uomini tutti d'un pezzo, commercianti dalla tempra così forte da sembrare loro dei veri "iron man".  Poi tutto attorno al quartiere di Ashton giravano le gang, i teppisti, gli ubriaconi ma anche i primi vinili dei bluesman americani. E da lì nacque tutto: la prima Stratocaster bianca, modificata in seguito all'incidente in fabbrica, in cui Iommi rischiò di compromettere per sempre la sua carriera, (una pressa mozzò i polpastrelli della sua mano destra e da allora Iommi utilizzò dei "ditali" che gli permettono ancora oggi di suonare la chitarra) e  la scoperta del chitarrista Django  Reinhardt, e la sua tecnica chitarristica rivoluzionaria, nonostante la menomazione all'arto.

Una carriera, quella di Iommi, che si è sviluppata già molti anni prima della nascita dei Sabbath, con centinaia di serate in giro per le peggiori bettole d'Europa, a suonare il blues con tante band diverse. Proprio in una di queste formazioni, Iommi incontrerà il suo compagno di avventure e batterista Bill Ward, che diventerà uno dei membri storici dei Black Sabbath e poi Geezer Butler, (il più colto della combriccola). Poi c'è lui: Ozzy. Il baffuto chitarrista ne parla sempre con affetto, con ammirazione, come del resto vengono dipinti tutti i personaggi del libro; non c'è quasi mai acredine nelle parole di Iommi, nei confronti di nessuno. Oggi parla da vero gentleman, ma come lui stesso afferma fra le righe: "stupidaggini, nella vita ne ho commesse parecchie".

Poche autobiografie dei divi del rock sono scritte con tale semplicità e schiettezza, raramente capita di leggere storie con tanta umanità e nello stesso tempo tanta oggettività. Inoltre il testo scorre piacevolmente, grazie a brevissimi capitoli di tre o quattro pagine, che non fanno mai perdere il lettore.   

Iommi, parla della sua vita, delle sue esperienze (perlopiù musicali) e non si dilunga mai sulle crisi matrimoniali, sui problemi con la cocaina, sul rapporto con il mondo dello showbiz. Inoltre, chi cercherà in questo libro macabre vicende legate alla stregoneria, al satanismo e alla magia nera ne resterà profondamente deluso. Iommi, pagina dopo pagina, spiega che l'immagine maledetta della band che creò l'heavy metal, non è stata altro che una caricatura. 

Ozzy Osbourne, Geezer Butler, Bill Ward e lo stesso Iommi erano solo dei ragazzi della classe operaia di Birmingham, dei giovanotti arricchiti, che distruggevano Rolls Royce e che incendiavano camere d'albergo. Proprio come le altre band "hard" dell'epoca, Zeppelin in primis. E proprio con John Bonham dei Led Zeppelin, Iommi si legherà a tal punto, da invitarlo ad essere il proprio testimone di nozze.  Una vita di eccessi porterà Bonham a non cambiare mai e a trovare la morte nel 1980, e una vita di responsabilità porterà Iommi a diventare il leader indiscusso dei Black Sabbath, a idearne tutti gli album, a farne da principale produttore per molti anni. 

Nel libro appare, dunque, la figura di un uomo dal carattere duro, determinato, con un grande orgoglio. Lo stesso orgoglio che lo porterà a lasciare in breve tempo i  Jethro Tull, nel quale era entrato ai tempi del "live televisivo" Rolling Stones Rock n' Roll Circus, solo per una battuta poco felice del manager della band.
Quella fuoriuscita porterà comunque grandi frutti: l'affermazione a livello planetario dei Black Sabbath e la nascita di uno stile unico, cupo, oscuro e tagliente, proprio come il suono delle fabbriche di Birmingham.

di Francesco Giacalone