Chitarra, vita da musicisti e luoghi (stra)ordinari. Questi tre elementi caratterizzano "It might get loud", il documentario di Davis Guggheneim su tre artisti diversi, ma accomunati dall'intensa passione per le sei corde: Jimmy Page, The Edge e Jack White. Un lavoro che i fan e gli appassionati del rock aspettavano da tempo. E di sicuro non deluderà.
In "It might get loud" i tre artisti si mettono a nudo, scendendo dal piedistallo delle rockstar e trasformandosi come non mai nel chitarrista della porta accanto. Geniale l'inizio del film, con il simpaticoantipatico Jack White che in due minuti costruisce una rudimentale slide guitar che suona come il muggito della vacca che ha di fronte.
Bellissime le ambientazioni, grezzo (ma di alta qualità) il suono e splendide le immagini d'archivio.
Nel documentario di Guggheneim non mancano i momenti di "poesia", come The Edge degli U2 che parla della "sua" Dublino devastata di metà anni 70 o come un "tenero" signore ultrasessantenne di nome James Patrick Page che racconta dei suoi inizi da session man e si emoziona ascoltando un vecchio brano che gli ha cambiato la vita. La scena più vera, però, quasi commovente è quella in cui Jack White ascolta il suo idolo blues degli anni 30, Son House, su un vecchio vinile. Lì, in quel preciso istante
capisci perchè il blues ti può davvero rapire, e non portarti mai più indietro. Lo stesso blues di Muddy Waters che Jimmy Page fa vibrare nel suo giradischi in una "stanza dei tesori" ricca di album e bootleg di ogni tempo. Non mancano (ovviamente) neanche gli "spezzoni" dei live dei Led Zeppelin, degli U2 e dei White Stripes, in un mix avvincente e mai scontato.
I dialoghi fra i tre artisti (che si incontrano in una specie di capannone industriale abbandonato) non sono comunque esaltanti e si mantengono sulla superficie. Troppo diversi, troppo lontani nello spaziotempo del rock. Page, The Edge e White parlano poco (rispetto alle aspettative) di chitarre, strumentazione, stili e sound. Certo, c'è The Edge con la sua mega pedaliera, Jimmy Page con la sua Les Paul e White (per molti sarà una splendida rivelazione) con lo slide fra le dita, ma i trucchi, le note e le diavolerie tecniche sono quasi assenti in questo documentario.
Il meglio del meglio arriva alla fine con una splendida cover: "The Weight" della Band (con la B maiuscola, il gruppocanadese di Robbie Robertson) suonata dai tre in acustico. Una gemma che chiude degnamente questo documentario, pieno di passione, duro lavoro e lontanissimo dal clichè sex, droug and rock n'roll.
di Francesco Giacalone